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Giandomenico Mazzocato
Leggo le poesie di Loredana Becherini e rifletto come sia vero che un barocco di segno alto costituisca una delle categorie perenni dello spirito umano. Poesia colta, raffinata, dalle forme avvolgenti, a più piani (come di quinte di un teatro palladiano in cui il tromp-l’oeil si fa suggestione perpetua).
In più la poesia di Becherini si nutre di emozioni di robusta classicità. Direi: classicità da Magna Grecia, alla Quasimodo o alla Sinisgalli, in cui la solarità allude sempre al fatto che esistono coni d’ombra nell’esistenza. Solarità mai assoluta, ma complice della riflessione in pieghe più riposte dell’anima.
La visività della poesia di Becherini si coniuga in modo efficace alla memoria e la rilancia di continuo. La suggestione del momento innesca il pensiero, il pensiero rimescola, agita, impasta il ricordo (talora ancestrale), il ricordo rifluisce nella visione chiudendo il circolo.
Risiede qui la fertilità coinvolgente della poesia di Becherini, in questo assoluto universale. Penso all’eterno ritorno, all’uroburo, al rifluire universale e perpetuo nel già vissuto: a questo serve la memoria, ad esorcizzare e sorvegliare il deja vu, a distinguere il necessario dal transeunte.
Perchè non può sfuggire che la poetica di Becherini prevede un tratto di coerente concretezza. I termini più ricorrenti sono  gli aggettivi/pronomi indicativi (“questo”), un avverbio come “qui”, gli aggettivi/pronomi possessivi (“mio”). A indicare un percorso di possesso della realtà, di quotidiano accarezzato con la mano e talora tenuto in pugno. Perchè non fugga.
Così tra possesso del transeunte e aspirazione ad un universo chiaro e tutto decifrato (si può mai decifrare fino in fondo o anche solo in piccola parte l’universo?) si snoda la ricerca poetica di Becherini che spesso risolve il suo dire in immagini di luminosa e aristocratica bellezza.
La tentazione cui allude il titolo è davvero questa: la presunzione di avere una ricetta per decodificare il mondo e la consapevolezza che tale ricetta, se verificata fino in fondo, fatica a reggere all’analisi/urto delle prove e delle controprove.
Tuttavia la poesia è spesso sfida all’impossibile, è misterioso coesistere di contrari, è ritualizzazione del paradosso.
È la felicità della sua stessa incongruenza al cielo sotto cui cerca di essere voce.